|  | 05
 II 
  La presunzione di Mario non faceva del male a nessuno, e sarebbe stato umano di 
  lasciargliela. Giulio la tutelava tanto bene che con lui Mario non arrossiva neppure quando 
  s'accorgeva d'averla manifestata. Anzi Giulio l'aveva intesa tanto bene da adottarla con più 
  chiarezza che non ci fosse in Mario stesso. Anche lui, dinanzi ai terzi, si guardava dal proclamare 
  la sua fede nel genio del fratello, ma senza sforzo, solo per conformarsi a quanto vedeva fare da 
  Mario stesso. E Mario sorrideva dell'ammirazione del fratello, non sapendo ch'era stato lui che 
  gliel'aveva insegnata. 
  Ma ne godeva, e la stanza dove l'ammalato passava il suo tempo fra letto e lettuccio, era un 
  posto raro a questo mondo perchè Mario vi trovava una pace ch'egli diceva silenzio e 
  raccoglimento, mentre era qualche cosa che più fortunati di lui trovavano in luoghi specialmente 
  rumorosi. 
  Piena di gloria, quella stanza conteneva poche altre cose. Un desco leggero che veniva 
  spostato dal centro, ove i due fratelli prendevano la colazione, ad un cantuccio accanto al letto ove 
  desinavano. Da poco tempo in quella stanza da pranzo era stato posto il letto di Giulio. Durante la 
  guerra il combustibile era caro, eppoi quella era la stanza più calda della casa, per cui l'ammalato, 
  durante l'inverno, non l'abbandonava mai. Nelle lunghe sere invernali, in quella stanza, il poeta 
  sosteneva il gottoso ed il gottoso confortava il poeta. La somiglianza di tale rapporto con quello 
  dello zoppo e del cieco è evidente. 
  Per un caso singolare i due vecchi ch'erano stati sempre poveri, non ebbero a sopportare 
  delle grandi sofferenze durante la guerra che fu tanto dura a tutti i Triestini. I loro disagi furono 
  diminuiti da una grande simpatia che Mario seppe ispirare ad uno slavo del contado e che si 
  manifestò in doni di frutta, uova e pollame. Si vede da questo successo del letterato italiano che 
  mai ne aveva avuti altri, che la nostra letteratura prospera meglio all'estero che da noi. Peccato che 
  Mario non seppe apprezzare quel successo che altrimenti gli avrebbe fatto bene. Accettava e 
  mangiava volentieri i doni, ma gli pareva che la generosità del contadino fosse dovuta alla sua 
  ignoranza e che il successo con gli ignoranti spesso si chiama truffa. Si sentiva perciò pesare il 
  cuore, e per difendere il buon umore e l'appetito ricorse alla favola: Ad un uccellino furono offerti 
  dei pezzi di pane troppo grandi per il suo beccuccio. Con piccolo resultato l'uccellino s'accanì per 
  vari giorni intorno alla preda. Fu ancora peggio quando il pane indurì, perchè allora l'uccellino 
  dovette rinunciare al ristoro offertogli. Volò via pensando: L'ignoranza del benefattore è la 
  sventura del beneficato. 
  Solo la morale della favola s'adattava esattamente al caso del contadino. Il resto era stato 
  alterato tanto bene dall'ispirazione, che il contadino non vi si sarebbe ravvisato, e questo era lo 
  scopo principale della favola. C'era stato lo sfogo e non andava a colpire il contadino, proprio come 
  non lo meritava. Perciò studiandola si scopre nella favola una manifestazione di riconoscenza, 
  benchè non forte. 
  I due fratelli vivevano con rigida regolarità. Non sconvolse le loro abitudini neppure la 
  guerra che disordinò tutto il resto del mondo. Giulio lottava da anni e con buon successo contro la 
  gotta che gli minacciava il cuore. Andando a letto di buon'ora, e contando i bocconi che si 
  concedeva, il vecchio, di buon umore, diceva: “Vorrei sapere se, tenendomi vivo, truffo la vita o la 
  morte”. Non era un letterato costui, ma si vede che, ripetendo ogni giorno le stesse azioni, si finisce 
  con lo spremerne tutto lo spirito che ne può scaturire. Perciò all'uomo comune non è mai 
  raccomandata abbastanza la vita regolata. 
  Giulio, d'inverno, si coricava proprio col sole, e d'estate molto prima di esso. Nel letto caldo 
  le sue sofferenze s'attenuavano ed egli lo abbandonava ogni giorno per alcune ore, unicamente per 
  conformarsi al volere del medico. La cena era servita accanto al suo letto, e i due fratelli la 
  prendevano insieme. Era condita da un grande affetto, l'affetto ereditato dalla loro prima 
  giovinezza. Mario era per Giulio sempre molto giovine, e Giulio per Mario il vecchio che avrebbe 
  saputo consigliarlo in ogni evenienza. Giulio non s'accorgeva quanto Mario gli andasse 
  somigliando nella prudenza e nella lentezza, come se avesse avuto la gotta anche lui, e Mario non 
  vedeva che il vecchio fratello ormai non poteva dargli consigli, non avrebbe mai detto cosa che non 
  fosse stata spiata dal suo proprio desiderio. Era anche giusto: non si trattava di consigliare o 
  d'ammonire; bisognava sostenere e incoraggiare. Ciò riusciva anche più facile a un gottoso, per 
  quanto non sembri. E quando Mario concludeva l'esposizione di una sua idea, di una sua speranza 
  o intenzione con le parole: “Ti pare?” a Giulio assolutamente pareva, e consentiva convinto. Perciò 
  per ambedue la letteratura era una bonissima cosa, e la parca cena era migliore, condita da un mite 
  affetto sicuro, che escludeva qualsiasi dissenso.
 |  | 5La petulancia de Mario no hacía daño a nadie y habría sido humano de dejarselo. Giulio la cuidaba tan bien que con él Mario nisiquiera se enrojecía cuando se daba cuenta de haberla manifestado. Giulio había mejor comprendido la petulancia de su hermano que Mario mismo. Frente a otros el también se cuidó de hablar de su fe en el ingenio de su hermano, pero sin esfuerzo, lo hacía solamente en la medida que veía que Mario también lo hacía. Mario sonreía de la admiración de su hermano, no sabiendo que era él mismo que se lo había enseñado. Pero gozaba el estimo de su hermano y el cuarto donde el enfermo pasaba su tiempo entre cama y catre era un lugar raro en este mundo, porque Mario encontraba ahí el silenciio y la paz, mientras que era un lugar donde encontraba algo que más afortunados que él encuentran en sitios ruidosos. Lleno de gloria, este cuarto contenía pocas otras cosas. Una pequeña mesa ligera que había sido sacado del centro, donde los dos hermanos solían tomar el desayuno, a  un rincón al lado  de la cama, donde tomaban el almuerzo. Hace poco la cama de Giulio había sido puesto en el comedor. Durante la guerra el combustible era caro y esta era el cuarto más caliente de la casa por lo cual el enfermo durante el invierno no salió nunca de él. En este cuarto el poeta sostenía el gotoso y el gotoso hizo sentirse a gusto al poeta durante las largas noches de invierno. La semejanza de esta relación con aquella del cojo y el ciego es obvio. Por una circunstancia inusual los dos viejos que siempe habían sido pobres no tuvieron que soportar grandes sufrimientos durante la guerra que fue tan dura para la gente de Triest. Sus penurias fueron aliviados por la gran simpatía que Mario había inspirado a un slavo de la comarca y que se manifestó en fruta, huevos y pollos. Este éxito del literato italiano, y era el único éxito que jamás tuvo en la vida, que nuestra literatura prospera más en el extranjero que donde nosotros. Lástima que Mario no podía apreciar este éxito que en otras circunstancias le habría hecho tanto bien. Acetaba y comía con mucho gusto los regalos, pero le parecía que la generosidad del campesino se debía a su ignorancia y el éxito donde los ignorantes muy a menudo se llama engaño. Por lo tanto le dió lástima y para guardar su buen humor y el apetito recurrió a la fábula: A un pajarito se le ofrecieron pedazo de pan demasiado grandes para su pico. Sin resultado el pajarito se esforzó varias días alrededor de la presa. Cuando el pan se endureció la situación se complicó aun más, porque entonces el pajarito tenía que renunciar definitivamente a la alimentación que le había sido ofrecido. Se fue volando y pensó: La estupidez del bienhechor es la desgracia del benefeciado. Solo la moraleja de la fábula pegaba exactamente con el caso del campesino. El resto ha sido cambiado tanto por la inspiración, que el campesino no se había reconocido en esta fábula. Se desfogó y no iba a acusar al campesino que no lo merecía. Si se estudiaba bien la fábula se encontrará en ella también una manifestación de gratidud, aunque sea pequeña. Los dos hermanos vivían según un plan rígido. Nisiquiera la guerra que revolvía todo el mundo. Giulio luchaba desde años y con éxito contra la gota que amenazaba su corazón. Acostandose temprano y contando los bocados que se concedía, el viejo decía de buen humor: "Quiesiera saber si, manteniendome vivo, engaño la vida o la muerte." Aquél no era un literato, pero se ve que repitiendo todos los días las mismas acciones se acaba por exprimir de ellos todo el espíritu que se puede sacar de ellos. Por lo tanto no hay nada más aconsejable para el hombre común que una vida bien regulada. En invierno se acostó con el sol y en el verano mucho antes. En la cama caliente sus sufrimientos se atenuaron y el lo dejo cada día únicamente para satisfacer las recomendaciones del médico. Se sirvió la cena al lado de su cama y los dos hermanos lo tomaron juntos. Era sazonada de un gran cariño, el cariño heredado de su primera juventud. Mario era para Giulio siempre muy joven y Giulio per Mario el viejo que podía aconsejarle en cualquier circunstancia. Giulio no se acordaba desde cuando Mario se le asemejaba en cuanto se refiere a la prundencia y lentitud, como si él también tuviese la gota y Mario no veía que el viejo hermano y no le podía dar consejos, porque nunca habría dicho algo que no habría sido inspirado de su propio deseo. Esto también era justo: No se trataba den aconsejar y amonestar sino de sostener y alentar. Esto resultó más fácil de lo que se podía esperar tratandose de un enfermo de gota. Cuando Mario concluía la exposición de una idea, de una esperanza o intención con la palabras: "Te parece?" a Giulio parecía y consentía convencido. Por lo tanto para ambos la literatura era una cosa muy buena y el miserable desayuno era una cosa muy buena, sazonada de un alegre cariño seguro, que excluía cualquier discordancia.
 
 
 |