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VI
Era vero che l'attesa non produceva delle favole, ma nei lunghi giorni che adianteono vuoti
di qualsiasi avvenimento, Mario dovette riconoscere ch'essa non era monotona, perchè non uno di
quei giorni somigliava a quello che l'aveva preceduto o seguito. Di alcuni si avrà qui la storia.
Il Brauer andò varie volte alla Banca e, non trovandoci la notizia attesa, voleva indurre
Mario a telegrafare per saper presto la sorte avuta dall'assegno. Ma Mario non seguì il consiglio
dell'uomo d'affari, perchè pensava che qui la pratica della letteratura fosse dirimente. Sapeva per
dura esperienza come fosse pericoloso in letteratura di turbare con sollecitatorie i proprii patroni.
Talvolta egli si lasciava convincere a correre lui alla Banca per inviare quel dispaccio, ma poi era
trattenuto dall'immagine terribile di un Westermann irato che potesse decidere di fare senza del
romanzo. In quanto merce, un romanzo è sempre differente da altre merci. Mario pensava che se
avesse perduto quell'acquirente, avrebbe dovuto aspettare altri quarant'anni per trovarne un altro.
Del resto, risolvendosi ad inviare quel messaggio scortese (la cortesia per dispaccio costa
troppo) sarebbe stato necessario di averne il consenso del Gaia. Ma costui era introvabile. Ora che
c'era la possibilità di moversi, egli aveva ripreso le visite ai suoi clienti dell'Istria vicina. Mario
apprendeva dall'uno o dall'altro ch'era stato visto a Trieste, ma non seppe incontrarlo mai nè a casa
sua nè nel suo ufficio.
Un periodo ben duro. Vienna non mandava i denari e non si facevano vivi nè il Westermann
nè il suo adorato ed obbrobrioso critico. Sta bene che il contratto e l'assegno erano firmati, ma
chissà se il brutto uomo impellicciato aveva interpretato esattamente il volere del Westermann. In
fondo quell'individuo che non sapeva che il tedesco non era altro che la traduzione del Gaia
italiano. Poteva perciò avere sbagliato.
Mario aveva una certa esperienza degli affari e, bisogna riconoscerlo, aveva anche una certa
esperienza di belle lettere. Quello che assolutamente ignorava, erano gli affari nel campo dei
prodotti letterari. Solo perciò non arrivava a scoprire la burla. Se non si fosse trattato di letteratura,
egli mai più avrebbe ammesso che un uomo pratico d'affari come doveva essere il Westermann,
avesse offerto tanti denari per una cosa che avrebbe potuto ottenere tanto più a buon mercato, per
esempio per la piccola somma prestata dal Brauer. Poichè quella somma Mario la doveva, e non
ammetteva più che egli avrebbe concesso il romanzo magari per niente. Ma forse negli affari
letterari si usava così, e nell'editore c'era anche l'umanità del mecenate.
E Giulio, dal suo letto innocente, aiutava a dissipare i dubbii di Mario. Diceva che il
Westermann, come lui se l'immaginava, doveva essere un uomo al quale duecentomila corone di
più o di meno non potevano importare. Eppoi che senso c'era di verificare se c'era stato errore da
parte dell'editore? Se il furbo Gaia gliel'aveva fatta, tanto meglio.
Le acute riflessioni di Giulio bastavano a rendere più lieta qualche ora di Mario. Poi
ricadeva nell'eccitazione dell'attesa. Si trovava in uno stato che ricordava l'epoca seguita alla
pubblicazione del suo romanzo. Anche allora l'attesa del successo - che dapprima gli era sembrato
sicuro quanto adesso il contratto col Westermann - aveva imperversato sulla sua vita facendone una
tortura insopportabile persino nel ricordo. Ma allora, data la forza della gioventù, l'attesa non aveva
insidiato il suo sonno e il suo appetito. E benchè dovesse credersi in pieno successo, il povero
Mario stava facendo l'esperienza che dopo i sessant'anni non bisognava occuparsi più di letteratura,
perchè poteva divenire una pratica molto dannosa alla salute. |
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Era verdad que la espera no producía fábulas, pero en los largos días que adianteon sin acontecimiento alguno, Mario tenía que concedeer que esta no era monótona, porque nisiquiera uno de esto días asemejaba a aqué que le había precedido o seguido. De algunos vamos a contar ahora. Brauer se fue varias veces al banco y como no encontraba la noticia esperada, quería convencer a Mario a mandar un telegrama para saber que había pasado con la letra de cambio. Pero Mario no siguió el consejo del hombre de negocios, porque pensaba que en este asunto la literatura debía mediar. Sabía por experiencia dura cuán peligroso es molestar con exigencias los proprios jefes. De vez en cuando se dejó convencer de correr el mismo al banco para enviar este telegrama, pero después fue retenido del imágen de un Westerman fastiado, que podía decidirse de renunciar a esta novela. Como mercancía una novela siempre es algo distinto que otras mercancias. Mario pensaba que si perdiera este comprador, tendría que esperar otros cuarenta años para encontrar otro. Aparte de esto pensaba que hacía falta el consentimiento de Gaia para despachar este mensaje descortez (la cortesía cuesta mucho en telegramas).Pero aquél era ilocalizable. Ahora que había la posibilidad de moverse, él había recomenzado a visitar sus clientes en la Istria vecina. Mario supo por distintas personas que se le había visto a Triest, pero no pudo encontrarlo nunca, ni en casa ni en su oficina. Un período muy duro. Viena no mandó el dinero y ni el Westermann ni su adorado y oprobioso crítico dieron señas de vida. Estaba bien que el contrato y la letra de cambio estuviesen firmados, pero quién sabía si el hombre feo envuelto en su piel había interpretado bien la voluntad de Westermann. En el fondo este individuo que sabía solo alemán era la traducción del Gaia italiano y podía darse por lo tanto que se había equivocado. Mario tenía cierta experiencia en los negocios y, hay que reconocerlo, también en las bellas letras. Algo que ignorabo sin embargo por completo eran los negocios en el campo de productos literarios. Esto es la razón por la cuál no se daba cuenta que se trataba de una burla. Si no se hubiese tratado de literatura, él no habría nunca admitido que un hombre práctico de negocios como lo era el seguramente Westermann, hubiese ofrecido tanto dinero para obtener una cosa, que habría podido comprar a un precio mucho más bajo, por ejemplo para la pequeña suma que Brauer le había prestado. Esta suma Mario la debía realmente y no admitía ya que también habría dejado su novela por nada. Pero talvez en los negocios de literatura se solía hacerlo así y en el editor también había algo de mecena. Giulio de cama inocente ayudaba a disipar las dudas de Mario. Decía que Westermann, tal como él se lo imaginó, debía de ser un hombre al cual dos cientos mil coronas más o menos no importaban. Y además que sentido tenía verificar si había un error de la parte del editor? Si el astuto Gaia lo había urdido así, mejor. Las agudas reflexiones de Giulio bastaban para hacerle alegre Mario por un par de horas. Después cayó de nuevo en la excitación de la espera. Se encontraba en el mismo estado de ánimo que recordaba la época que seguía a la primera publicación de su novela. En este entonces también la espera del éxito, que en este entonces pareció tan seguro como ahora el encuentro con Westermann, había revuelto su vida convirtiendola en una tortura insoportable incluso en el recuerdo. Pero en este entonces, con la fuerza de la juventud, la espera no había amenazado su sueño y su apetito. Y a pesar de que tenía que creerse afortunado, el pobre Mario se veía confrontado con la experiencia que más allá de los sesenta años más valía no ocuparse más de literatura, porque era nocivo para la salud. |