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Bisognava intanto sapere esattamente quello che il ragazzetto loro amico aveva detto.
Perciò iniziò un serrato interrogatorio del povero Giulio il quale non ricordava quelle parole,
avendovi attribuito poca importanza. E l'ammalato non sopportò il cipiglio di Mario. Aveva già
sofferto molto essendosi accorto di quello che stava avvenendo al fratello, proprio allora, in sua
presenza, ma soffriva ora ancora di più nel timore di vedersi rimproverata un'altra volta la propria
debolezza, la propria vita. Finì che gli colarono alcune lacrime sulle guancie emaciate.
Mario alla vista di quel segno di dolore del fratello, si agitò anche di più. Dolersi della burla
a quel modo significava riconoscersi abbattuto e attribuirle grande importanza. Urlò: “Perchè
piangi? Non vedi che io, cui la faccenda colpisce tanto più direttamente, non piango affatto? E non
mi vedrai piangere mai. Spero, invece, di far piangere il Gaia se realmente m'ha burlato”.
Non potè sopportare la debolezza di Giulio. Piantò la cena e fatto un breve saluto a Giulio
(cui realmente serbava rancore perchè non ricordava bene quello che il ragazzo loro amico aveva
detto) si ritirò nella propria stanza.
E, rimasto solo, gli parve d'essere sicuro e di aver eliminato definitivamente ogni dubbio.
La burla aveva lo stesso scopo di tutte quelle di cui il Gaia aveva cosparso l'Istria e la Dalmazia, e
delle quali ora Mario ricordava di aver riso di cuore. Sì! Della burla si rideva e non occorreva altro.
Ne ridevano tutti coloro che non dovevano piangere. E Mario ricordando questo, subito pianse
com'era la legge della burla.
Non ancora svestito, si gettò sul letto. Udiva sempre la risata cui i due congiurati s'erano
abbandonati in sua presenza. Riecheggiava negli stessi scomposti rumori della bora, e vi si faceva
enorme. Andava a colpire tutti i sogni che avevano abbellito la sua vita. Se il Gaia aveva voluto
questo, per un istante aveva raggiunto il suo scopo: Mario si vergognò dei proprii sogni. Non
poteva fallire quella burla per quanto rozzamente congegnata. Il lavoro accorto del burlone l'aveva
preceduta, e non c'era stato bisogno che l'accompagnasse. Il burlone l'aveva spiato, e gli aveva
presentato un contratto, che non era stato inventato, ma accuratamente copiato dall'animo suo. Non
s'era egli atteso una cosa simile, da quasi mezzo secolo? E quando gli fu presentato, in lui non ci fu
sorpresa, nè ci poteva essere diffidenza alcuna. Non aveva neppure guardato in faccia coloro che
glielo avevano presentato. Era cosa che gli spettava, ed arrivava a lui per una data via che non
aveva importanza. Dunque egli era stato burlato come in altre età i cornuti e gli scemi, coloro che
la burla meritavano.
Per questo gli coceva la burla, non per la perdita del denaro promesso. Neppure un istante
pensò al debito contratto col Brauer in conseguenza della burla. Prima di tutto gli oggetti acquistati
erano in casa ancora intatti, eppoi non ci si può figurare a quali impegni si possa corrispondere col
volere onesto. Il denaro non aveva importanza. Invece lo straziava la persuasione di aver perduto
irrimediabilmente la ragione della sua vita. Mai più gli sarebbe stato concesso di ritornare allo stato
in cui era vissuto sempre, nutrendosi delle solite porcheriole condite da quel sogno alto che
stereotipava il sorriso sulle sue labbra.
L'aggettivo di burlato non s'attaglia in pieno che alla vittima di una burla che abiti in una
città non grande abbastanza per correrne le vie sicuro, cioè sconosciuto. Ogni sua nota debolezza lo
accompagna per via insieme alla sua ombra. Tutte le persone dello stesso ceto vi si conoscono ed
ognuno ficca le unghie nelle ferite del vicino. Ognuno ha il suo destino quaggiù, ma, quand'è noto
a tutti, si rincrudisce per un incontro, per un'occhiata. Mai più si sarebbe potuto liberare dal
marchio di quella burla. Se mai aveva potuto dimenticare che una donna lo aveva burlato
respingendolo. Oramai tanto vecchio, essa tuttavia non sapeva reprimere un cattivo sorriso quando
lo vedeva. Con l'equanimità del letterato, Mario ricordò che anche lui era per altri un rimprovero
vivente, perchè in città v'era qualcuno che si turbava al solo vederlo. Buono com'era, egli aveva
tentato d'addolcire quei rapporti, ma non vi era riuscito, anche perchè tali imbarazzi non si levano,
ma s'aggravano con le spiegazioni. Ed egli non aveva fatte mai delle burle, ma la vita sapeva
inventarne anche di più atroci di quelle del Gaia, e bastava saperne per esser considerato dalle
vittime un vero nemico. |
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Hacía falta por lo tanto de saber exactamente lo que el niño de su amigo había dicho. Por eso interrogó de manera insistente al pobre Giulio, el cual no se acordaba de las palabras porque les había atribuido poca importancia. El enfermo no soportó la cara de pocos amigos de Mario. Había ya sufrido mucho al enterarse de lo que había ocurrido a su hermano, en este momento, en su presencia, pero sufría todavía más temiendo que se le reprochara otra vez la propia debilidad, la propia vida. Finalmente un par de lágrimas se le escurrían por la enflaquecidas mejillas. Cuando Mario vio esta señal de dolor del hermano se enrabió todavía más. Afligirse tanto por aquella burla significaba dejarse por vencido y atribuirla una gran importancia. Gritó: "Por qué lloras? No ves que yo, al cual el asunto concierne tanto más, no lloro? Y nunca me verás llorando. Pero espero ver llorar el Gaia si realmente me tomado el pelo." No pudo soportar la debilidad de Giulio. Interrumpió la cena y después de saludar brevemente a Giulio (por el cual realmente guardaba rencor porque no se acordaba bien de lo que había dicho el niño de su amigo) se retiró a su propio cuarto. Cuando era solo le parecía de estar seguro y de haber eliminado definitivamente cualquier duda. La burla había tenido el mismo fin de todas aquellas que Gaia había maquinado en Istria y en Dalmacia y de las cuales Mario se acordaba de haber reído de todo corazón. Sí! De una burla se reía y con esto se acabó. Reían de ella todos aquellos que no lloraban por ella. Y cuando Mario se acordaba de ello, comenzó a llorar en seguida, como era la ley de la burla. Vestido como era se echo en la cama. No dejaba de oir aquella carcajada de los dos conjuradores en su presencia. Resonaba en el confuso rumor del viento norte y se hizo enorme. Iba a golpear todos los sueños que habían embellezado su vida. Si Gaia había querido esto, había logrado su sueño por un momento. Mario se avergonzó de sus propios sueños. No importa cuan primitivamente esta burla fue maquinada, no podía fallar. Había sido precedido por un trabajo astuto del burlón, el resto iba por si sólo. El burlón le había espiado y le había presentado un contrato que era una copia de su ánimo. No había esperado el una cosa similar desde haca ya casi medio siglo? Y cuando le fue presentado, él no estuvo sorprendido, ni receloso. No había nisiquiera mirado en la cara a aquellos que se lo habían presentado. Era una cosa que le correspondía y no tuvo ninguna importancía como había llegado a él. Se habían burlado de él como en otros tiempos de los estúpidos y tontos, aquellos que merecían la burla. Es por eso que la burla le dolía, no por el dinero perdido. Nisiquiera un momento pensaba en el préstamo del Brauer que era la consequencia de la burla. Primero porque los objetos adquuiridos estaban todavía en casa intactos, y aparte de esto siendo honesto se podía cumplir con cualquier compromiso. El dinero no tenía importancia. Lo que le torturaba es la convicción de haber perdido irremediablemente la razón de su vida. Nunca jamás le sería permitido de volver al estado en el cual había vivido siempre, nutriendose de las mismas bostas sazonadas de aquel sueño alto que traía de manera esterotipa la sonrisa sobre sus labios. El adjectivo burlado se aplica con pleno derecho solo a aquellos que viven en una ciudad no bastante grande para pasar por las calles seguramente, lo que quiere decir desconocido. Toda su debilidad le acompañaba por las calles junto con su sombra. Todas las personas del mismo estrato se conocen ahí y cada uno mete su uñas en las heridas del vecino. Cada uno tiene ahí su destino, pero cuando es conocido, se encrudece por un encuentro, por una mirada. Nunca jamás se podría liberar del señal de la burla, como no había podido olvidar nunca que una mujer se había burlado de él rechazandolo. Ahora, ya tan vieja, ella todavía no podía reprimir una sonrisa maliciosa cuando lo veía. Con la imparcialidad del literato, Mario se acordó de que él también era un reproche vivente , porque en la ciudad había había gente, que se turbaron al mero verlo. Bueno como era él, había tratado de suavizar estas relaciones, pero no lo había logrado, porque este tipo de vergüenzas no se alivia sino se agrava hablando de ellas. Él no se había burlado nunca de nadie, pero la vida también sabía inventar burlas y incluso más atroces que aquellas de Gaia y bastaba considerarse víctima de una de ellas para ser considerado de esta víctima como un enemigo.
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