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14 Semplicemente la meritava e gli accadeva, ciò ch'era la cosa più naturale di questo mondo. Era straordinario non gli fosse accaduta prima. Tutta la storia della letteratura era zeppa di uomini celebri, e non già dalla nascita. A un dato momento era capitato da loro il critico veramente importante (barba bianca, fronte alta, occhi penetranti) oppure l'uomo d'affari accorto, un Gaia reso più importante da qualche tratto del Brauer ch'era troppo pesante per l'abitudine alla dipendenza, e non poteva perciò impersonare un creatore d'affari, ed essi subito assurgevano alla fama. Perchè la fama arrivi, infatti, non basta che lo scrittore la meriti. Occorre il concorso di uno o più altri voleri che influiscano sugl'inerti, quelli che poi leggono le cose che i primi hanno scelto. Una cosa un po' ridicola, ma che non si può mutare. E succede anche che il critico non capisca nulla del mestiere altrui, e l'editore (l'uomo d'affari) nulla del proprio, e l'esito resti il medesimo. Quando i due s'associano, l'autore anche se non lo merita, è fatto per un tempo più o meno lungo. Era fine assai Mario a vedere le cose a quel modo, in quel momento. Meno fine quando aggiunse con tranquillità: “Meno male che il caso mio è diverso”. Perchè non era venuto da lui il critico invece dell'uomo d'affari? Si consolò pensando che certo il Westermann era stato indotto a quell'affare dal critico. E finchè durò la burla, egli sognò di tale critico, ne costruì l'aspetto e l'indole, attribuendogli tante di quelle virtù e tanti di quei difetti da farne una persone più grossa delle solite viventi. Sicuramente era un critico cui non importava affatto della propria persona, e non era affatto come gli altri critici che quando leggono gettano su ogni pagina l'ombra del proprio naso torbido. Egli non cianciava, ma agiva, ciò ch'era molto strano per un uomo la cui sola azione consisteva in un giudizio sulla forza della parola altrui. Era più sicuro dei soliti critici, perchè non era soggetto che ad un errore solo (piuttosto grosso) e non a tanti da riempirne varie colonnine di giornale. Una potenza! L'anima estetica del Westermann, il suo occhio che mai si chiudeva, perchè altrimenti all'editore poteva toccar di pagare per vere delle pietre false, come Mario, che non se ne intendeva, supponeva potesse succedere ai gioiellieri. E freddo, freddo: come una macchina che non conosce che un solo movimento. In mano sua l'opera acquistava tutto il suo valore e non di più, e diveniva inerte come una merce che passa per le mani di un intermediario, e non vi lascia altro che un beneficio in denaro. Non conquideva, ma era afferrata, pesata e misurata, consegnata ad altri e dimenticata, perchè non intralciasse l'opera della macchina subito rimessa in moto. Dopo letto il romanzo del Samigli, il critico era andato dal Westermann e gli aveva detto: “Ecco l'opera che fa per voi. Vi consiglio di telegrafare subito al vostro rappresentante di Trieste d'acquistarla a qualunque prezzo”. Così il suo compito era esaurito. Che cosa gli sarebbe costato d'inviare al Samigli una cartolina postale per dirgli la parola intelligente ch'egli solo era capace di formulare? Così, proprio così era fatto il miglior critico del mondo. E pensare che valeva la pena di scrivere, solo perchè a questo mondo esisteva un mostro simile! |
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